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PARLA L'INGEGNERE CHE REGALA UN MUSEO A MONZA
Onora il padre !
La sezione "Gaiani" del museo del Duomo ospiterà anche esposizioni estemporanee di grande richiamo
di Sandro Invidia

Elemento prefabbricato della scala elicoidale

Elemento prefabbricato della scala elicoidale in fase di posizionamento

Se gli chiedete come gli sia venuta l'idea, vi mostra il busto di suo padre e vi risponde che non aveva dove metterlo: "Mi sto facendo la piramide" aggiunge, sorridendo con una punta di imbarazzo. Noi, abitualmente infastiditi dalla falsa modestia, di fronte alla sua simulata superbia non possiamo che accompagnarlo nel riso.
È un bel tipo, l'ingegner Gaiani. Alto e massiccio, con i modi un po' impacciati, da bambino timido, e subitanei guizzi di furbizia maliziosa negli occhi. L'abbiamo incontrato nel suo studio, in via Frisi, oltre l'alberatissimo muro di cinta, nel cuore silenzioso dell'impresa di costruzioni edili che ne porta il nome. Il rombo della trafficatissima via Boccaccio è una pallida eco, così come il caldo afoso e appiccicaticcio dell'esterno.
Gli abbiamo chiesto un incontro con l'intenzione espressa di farci raccontare come gli sia venuto in mente di costruire e regalare ai monzesi un intero museo.
Parquet e aria condizionata rendono l'ambiente accogliente; tutto sembra ovattato e calmo, persino l'incessante attività della segretaria, che percepiamo muoversi senza sosta, al di là del vetro…
Alle pareti vecchie stampe di "Ponteggi", "Carri a castello", "Ponti per restauri di edifici". Sui mobili, vecchie macchine calcolatrici. Oltre il corridoio, nello studio della moglie, la porta aperta lascia intravedere gatti di ogni foggia e materiale arrampicati ovunque: "Una leggera passione" scherza il marito, indovinando la direzione del nostro sguardo. "Il dramma è che parenti e amici, che conoscono questa debolezza, continuano a regalargliene: quelli che vedete non sono che una porzione… Arrivano da ogni parte del mondo!"
Alla sinistra della propria scrivania, isolato su un mobile, l'ingegnere ci indica il busto del padre.
"Vedete: lì non sta bene" ci dice, riprendendo lo scherzo. Poi torna serio, il tono del costruttore al lavoro, le indicazioni numeriche sciorinate con pacato borbottio professionale. Ci mostra la scheda tecnica del museo in costruzione. Le dimensioni sono davvero importanti: mille quintali di putrelle per reggere il soffitto, quattromila metri cubi di volume di scavo, mille e seicento metri cubi di volume di calcestruzzo, più di mille quintali di armatura in acciaio, ottocentoundici metri quadri di superficie espositiva, un soppalco sostenuto da dodici tiranti in acciaio di dieci centimetri di diametro, paratie di sostegno spesse novanta centimetri, immediatamente a ridosso dei muri perimetrali del Duomo (quasi privo di fondazioni), scavate fino 18 metri di profondità…

Il salone principale appena scavato.

Il salone principale appena scavato. Si notano le paratie in calcestruzzo e la copertura in acciao

Le maestranze dell'impresa Gaiani nel 1932.

Le maestranze dell'impresa Gaiani nel 1932 durante la costruzionedel Palazzo di Giustizia (realizzato in un anno).

Anche l'ipotesi di utilizzo è ambiziosa: ci parla della fondazione Pierre Gianadda, a Martigny, dei musei che accoglie, delle esposizioni temporanee di grande richiamo (ultima, quella su Van Gogh, di quest'estate), dei concerti…
"Occorre pensare in grande" dice "non accontentarsi delle poche persone che solitamente visitano le esposizioni monzesi. Bisogna offrire opportunità culturali di grande risonanza".
Anche nel progetto c'è qualcosa che ricorda il Gianadda: "Solo che lì il ballatoio è sostenuto da colonne, io l'ho appeso al soffitto!"
Tira fuori i rotoli: indica con eccessiva rapidità i punti per lui importanti:
"Vedete… qui… e qui… e qui…" Noi stentiamo a stargli dietro, gli chiediamo di ricominciare da capo.
"Dunque: di chi è il progetto?"
"Il disegno originario è dell'architetto Francesco De Giacomi. Poi ci sono alcuni miei suggerimenti, ha lavorato l'architetto Cini Boeri… insomma ne è uscita una cosa a mio parere molto bella… troppo per qualcuno!"
"Troppo?"
"Sì, c'è chi dice che non ha senso abbellire tanto un museo, che in fondo dev'essere un contenitore, deve servire a far ammirare le bellezze esposte… E il Guggenheim, allora? E il Gianadda? Il Beaubourg?"
"Lei vuol costruire il Guggenheim monzese?"
"Non esageriamo: voglio solo dotare questa città di una bella struttura che vada a integrare l'esistente e offra la possibilità di iniziative culturali di richiamo"
"Cioè?"
"L'edificio in costruzione unisce il Serpero alla cripta: ciò consentirà di integrare in un unico percorso museale il Serpero, il Gaiani e il Duomo."
"Si chiamerà 'Gaiani'?"
"Sezione Gaiani"
"In onore suo?"
"Di mio padre"
"E cosa ospiterà?"
"Una parte sarà occupata da un'esposizione permanente. Inizialmente pensavamo di esporre il rosone originario del Duomo"
"Non è quello che c'è sulla facciata?"
"No, quello è una copia dell'Ottocento. Il rosone originario è un pezzo raro, del XV secolo. Ce ne sono solo tre in tutta Europa. L'hanno tolto e restaurato perché il vetro tendeva a deteriorarsi: perdeva colore a causa del bismuto... Abbiamo scavato undici metri proprio perché pensavamo di mettercelo: altrimenti non ci sarebbe stato"
"Perché dice 'pensavamo'? Non lo esponete più?"
"Probabilmente no: sicuramente ci saranno degli splendidi arazzi… Comunque vedremo. Ciò che conta è che ci sarà uno spazio per esposizioni estemporanee… Ho già un paio di prenotazioni"
L'ingegnere continua a raccontare. A noi, però, frulla in testa sempre lo stesso quesito:
"Seriamente: come è nata l'idea?"
Gli si offusca un po' lo sguardo, abbassa gli occhi come a cercare le parole fra le mani, sul tavolo, poi comincia con voce pacata: parla di sé e della moglie, del fatto di non avere figli, del desiderio di lasciare qualcosa di duraturo, qualcosa da veder crescere, da fare in proprio…
"C'è chi si fa i castelli, chi colleziona Ferrari… noi vogliamo lasciare qualcosa a questa città… qualcosa di bello, cui legare il nostro nome… un po' come i Faraoni". Sorride, ma questa volta ci sembra che un velo di rimpianto gli tinga il viso bonario.
Con un filo di imbarazzo gli porgiamo l'ultima domanda, la più ovvia, viste le circostanze:
"Ingegnere, ma quanto le costa tutto questo?"
Ci fissa con occhio innocente: "Non lo so… Credetemi: non sto tenendo i conti!"
Noi, ovviamente, non gli crediamo.

Sandro Invidia


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ottobre 2000